Un buon lavoro

Non sono avvezzo ai complimenti  ma …
Hanno fatto un buon lavoro. Tecnicamente e politicamente. Va riconosciuto e apprezzato.

Parlo di quelli del Comitato 16 novembre che poco fa hanno pubblicato la loro posizione ufficiale sui criteri da assumere per l’assegnazione dei contributi sul Fondo per la non autosufficienza.

Per capire bene la finezza del documento bisogna ricordare un paio di fatti (non chiacchiere).
Dopo una protesta estrema sono riusciti ad ottenere che il Fondo per la non autosufficienza fosse finanziato prima con 200 poi con altri 200 milioni. Ma …

Ma il sottosegretario Polillo, vecchia volpe di certa politica, ha chiesto quanti fossero i gravemente non autosufficienti. Domanda apparentemente ingenua, in verità infida.

Infida perché non esiste in Italia una definizione giuridica di non autosufficienza, figuriamoci se esiste quella di gravità.

Infida perché la domanda scatena una guerra fra diverse disabilità e presta il fianco alla critica che i contributi pubblici non possono essere concessi solo agli affetti da una specifica patologia.

Infida perché si insinua in una discussione pluriennale sulla revisioni dei criteri di valutazione della disabilità e sulla definizione dei livelli essenziali si assistenza (da oltre un decennio argomento di convegnistici confronti).

Infida perché mira a prendere tempo, a rinviare sine die, a rallentare con la scusa che non è facile stabilire delle priorità.

Il rischio era quindi quello di impantanarsi, con il trofeo di 400 milioni, nelle sabbie mobili del futuribile.  E intanto le persone e le famiglie aspettano il termine di dotti confronti e di tavoli tecnici, caricandosi di assistenza, invecchiando prematuramente, varcando allegramente la soglia della povertà.

Il documento proposto aggira abilmente queste insidie. La sostanza della riflessione è questa: vogliamo che i criteri di valutazione della disabilità siano quelli della Convenzione ONU (che peraltro è stata ratificata in Italia)  ed in particolare che si riprenda la nozione di persona con necessità di sostegno intensivo (“more intense support”). Bene: il principio di fondo è segnato e costituisce un impegno.

Intanto però bisogna affrontare le emergenze. Chi ha steso in documento opportunamente non si riferisce al concetto di disabilità (grave o gravissima). Evita di cadere nel tranello e preferisce concentrarsi su quanto ha indicato lo stesso Parlamento nella Legge 7 agosto 2012, n. 135, articolo 23, comma 8 e che si riferisce a “condizioni di grave non autosufficienza” senza definirla.

La lacuna viene colmata con sufficiente precisione senza, è il caso di notarlo, richiamare nessuna specifica patologia, quanto piuttosto condizioni cliniche che comportano un carico assistenziale vigile di 24 su 24.

L’elenco è piuttosto esaustivo delle condizioni più gravi e fa riferimento a certificazioni piuttosto comuni fra gli specialisti e riconosciute dalla letteratura e dalla pratica clinica internazionale. Vi sono comprese anche le gravi disabilità intellettive, i gravi decadimenti cognitivi e le patologie oncologiche terminali.

Come tutti gli elenchi è perfettibile, ma abbraccia una platea di condizioni che difficilmente non possono essere riconosciute come gravi.

A che servirebbe questo elenco?

La proposta non esclude nessuno da prestazioni o assistenza. Fissa piuttosto priorità nella concessione dei contributi derivanti dal Fondo per la non autosufficienza. In realtà le priorità le aveva fissate, come abbiamo visto, già previste il Legislatore: persone gravemente non autosufficienti. La proposta non fa che chiarire una lacuna che, inopportunamente, il Legislatore aveva lasciato.

Adesso a chi deve decidere, diventa molto più complesso sgusciare fra “non sapevo” o “non si può fare” o “non sappiamo come fare” e, addirittura, “bisogna aprire un tavolo tecnico.”

Una lezione civica anche a chi per settimane ha banalizzato – per comodità o in malafede – le istanze come i “fondi per la SLA” minimizzando implicitamente un’emergenza che riguarda migliaia di famiglie. (Carlo Giacobini)