Insonnia

Se temete la solitudine non sposatevi.

Rilke: bella frase. Riordinare aforismi e idee nel dormiveglia gli fa sentire che il cervello funziona ancora alla grande. O forse è la medicina ad incontrare finalmente il sonno. O piuttosto immagina queste idee incontrollate come se uscissero da un otre troppo pieno. Scompostamente senza rispettare un ordine. Una fila scombinata di fanti in fuga da un fronte in rotta.

Solitudine. Non sposatevi.

Solitudine in che senso? A Birmingham ora udiva solitude ora loneliness, con quella doppia ss finale e strascinata come a voler indurre il dovuto silenzio. Gli era piaciuto credere di averne intuito una diversa sottile accezione. La sofferenza nella prima, il dorato isolamento nella seconda. Essere DA soli oppure essere I soli.

Se temete la solitudine non sposatevi.

No. Non è Rainer Maria Rilke, ma Nietzsche.

Ruota lento su un fianco questa volta, prima il bacino poi il tronco. Con il riflesso rossastro della sveglia elettronica sulla coperta leggera. 3.17, due numeri primi. 3.18, 18 diviso 3, dà 6. Cifre dritte in modo innaturale di tutte le notti, da anni protagoniste di mille giochi matematici, algoritmi, formule e congetture. Nella contabilità semi-onirica sono 119 giorni che non dorme più di due ore di fila. 119, ancora un numero primo. Roba da crivello di Eratostene. Eratostene 300 anni prima di Cristo già aveva capito tutto.

Ma perché confondere Rilke con Nietzsche? Perchè, perchè? Un dispettoso congegno si è inceppato o è partita una connessione per conto suo. Anarchica e prepotente.

Massì, erano amanti di Lou Salomè tutti e due: eccolo il fottuto legame. La saggia, affascinante, algida – e forse ninfomane – russa che era rimasta vergine fino a quarant’anni, salvo poi rifarsi abbondantemente tanto da scriverci su quel capolavoro. 3.29. Chissà se era zoccola come Luisa.

Luisa non è zoccola. Non è la parola giusta. È una falsa silente, una sfinge bugiarda. Non la sente nemmeno respirare quando dorme. Una signora composta anche quando dorme. Perchè lei impassibile riposa senza che alcuno turbamento la sfiori. Chissà cosa sta sognando. Forse il giocoso inseguimento su un prato con il suo amato con sottofondo di gridolini e risate. Passeggiate sdolcinate mano nella mano. Amplessi da soap opera senza parole o sospiri, come se fosse stato pudicamente tolto l’audio o rimpiazzato da una melensa lounge music. 3.33.

Luisa gli dà la schiena. Come gliel’avrebbe detto? Deve essere una frase ad effetto che le faccia, per una volta, cadere la mascella, lasciarla – Dio volesse – finalmente senza parole, senza quel puntiglio di voler spiegare tutto, di dettagliare, tagliare il capello in quattro, di smontare capziosa e paziente i meccanismi, di introdurre viscosi distinguo e, alla fine, di relegarlo ad unico responsabile. Ad inetto.

Rapido e incisivo! Non deve lasciare il margine a repliche. È lei che deve violentemente capire che lui sa tutto, che ogni cosa è evidente e che è lei, questa volta, ad essere ridotta all’angolo. Piangerà – è probabile – ma dopo. Un pianto congestionato di singhiozzi rabbiosi non per ciò che ha perso, ma per essere rimasta incastrata come una volpe in una tagliola. Senza vie di fuga. Stavolta è lei, incontrovertibilmente, la responsabile. 3.47.

La colazione è il momento proficuo. Lei la affronta, anche quella artificiosamente, da signora compunta e a culo dritto. Approntata per uscire, già abbigliata con caparbia dovizia e maniacale attenzione. Parzialmente truccata ché il rossetto, quasi impercettibile, lo adagia sulle labbra solo dopo il the e la fetta biscottata e ancora dopo la seconda passata di spazzolino. L’ultimo tocco di perfezione prima di affrontare e stupire il mondo anche oggi come ieri. Come deve essere.

3.57, altri due numeri primi. Chissà se i numeri primi hanno un loro flusso costante. Chissà se è vera l’ipotesi di Riemann.

Ed è esattamente in quel momento, fra qualche ora, che lui calerà l’asso di bastoni: quando quella tazza di porcellana di Limoges, ultima imbarazzante traccia di un regalo di nozze antico, è a mezza strada fra il piattino e le labbra.

Pensi che Clelio apprezzerà il tuo nuovo profumo?

Troppo larvato. Non capisce, può solo intuire un sospetto, una gelosia che non c’è più da un pezzo. Potrebbe pensare che conosce solo l’esistenza di Clelio ma non il resto.

Te la stai spassando con Clelio?

Potente e fulmineo come Tyson contro Leon Spinks nell’88. 91 secondi per mandarlo a tappeto. Se la ricorda quella tiepida sera di giugno. Si sentiva come propria la potenza implacabile del crudele Iron Mike e godeva del mondo sbigottito negli occhi increduli di uno Spinks inesorabilmente steso sul ring. Per sempre.

No, No! Non va bene: ancora tradisce una gelosia che non c’è più. Come non ci sono più altri sentimenti.

Leon Spinks. Un grande, ma era Michael, non Leon. Non era Leon, no.

Ti soddisfa Clelio?

Che poi … che cazzo di nome. Nel nome c’è il destino, avevano ragione i romani antichi.

Clelio! Ma come si fa? Clelio…

I nomi sono importanti. Si immagini Gesù battezzato con un altro nome. Con la G, magari lo stesso, e ugualmente di quattro lettere. Gegè, però. Non funziona, non può funzionare. I miracoli di Gegè Maddai! Gegè è risorto!, Gegè scaccia i mercanti dal tempio, Volete Gegè o Barabba? Sarebbe cambiata la storia dell’umanità. Secoli di fede buttati nel cesso della banalità. Buona questa! La userà in pausa pranzo con un paio di colleghi che gradiscono il genere blasfemo.

Clelio. Clelio, cazzo!

Se temete la solitudine non sposatevi. Vale anche per Luisa? Solo in parte: lei ama la solitudine nel senso di eccezione, di essere LA sola. Ed è proprio per questo che si era sposata: per essere sola in una coppia. Nietzsche – testolina di cazzo – questo non l’aveva capito.

Ed essere LA sola, a quarant’anni anche per un sfigato intellettuale di 10 anni di meno, pure bruttarello, deve restituirle una conferma senza pari. Anche un microcefalo con gli infantili testicoli fasciati di Chomsky e Baumann può garantirle questa gioia innaturale. Chissà se usa anche con lo sfigato lo stesso fraseggio che ha coniato tanto tempo fa per lui: il migliore, fonte di passione e sicurezza, sogno di una vita … cra, cra, cra.

4.12 (divisi, fa 3). Cambio pigro di fianco.

E neanche questa notte si dorme alla faccia della farmacopea. A Luisa, nei giorni di stress come lo chiama lei, bastano 25 gocce di valeriana. Solo prodotti naturali per lei. Lei è in sintonia con la natura e con il proprio corpo. Apostrofa con repulsione Porcherie le benzodiazepine. Non ha tutti i torti a vederne l’effetto troppo spesso pari a zero. Ed è altrettanto, se non peggiore, il suo stigma per i neurolettici. Come ingrugnisce quando lui evoca la fascinazione filosofica dell’effetto atarassizzante di quelle sciamaniche pilloline! Atarassia, amore mio: Democrito, Epicuro, Epitteto, Seneca … Atarassia, il contrario del marasma, dell’irrazionalità impeditiva. Duemilacinquecento anni di pensiero, amore … Resterai prigioniero della tua onanistica cultura senza capo né coda. Lo liquida così per non entrare nel merito, per non riconoscere che non è un cazzone da quattro soldi.

Ti scopa per bene Clelio?

Ah! Doppio colpo! Clelio e scopare nello stesso motto: sai che ribrezzo prova? Lei che ha sempre rigettato con fisica repulsione quella parola così esplicita, calda, convincente, inequivocabile. Stiamo assieme, facciamo l’amore, ci coccoliamo. Mai un po’ di sangue e ormoni. Un sesso muto e senza eco, nessuna ricercata ritualità. Erotica. Erotica – ecco! – è l’opera di Lou Salomè. Avrebbe fatto bene a Luisa. Oppure anche Anal und sexual sarebbe stata una istruttiva lettura. Può funzionare.

Ti scopa per bene Clelio?

4.13. Di schiena adesso con le braccia incrociate sul petto. Per molto tempo si è addormentato in quella posizione. Potrebbe essere quella giusta. Giusta per cosa? Per assopirsi un paio di ore? Magari! Deve essere in forze domani e non solo per la stronza. Energie per rispondere a tante domande. Tante, tante domande anche cattive, allusive, trabocchetto.

È l’ora della prostata, come la chiama lui. Si alza piano. Il respiro di Luisa non si sente proprio.

Eccola la pisciatona della tarda notte. Non quella nervosa, intermittente e brevilinea, ma quella davvero robusta, a getto pieno che lascia poi la vescica piacevolmente indolenzita. Una mano sulle piastrelle e l’altra a impugnare l’uccello per centrare efficacemente il buco. Lascia un senso di amabile sospensione antica, come quando i pastori si svuotavano ammirando le stelle dell’Asia Minore.

E adesso di nuovo a nanna scavalcando pigramente il corpo, anche quello morto, del fu Clelio. (Carlo Giacobini)

Post scriptum: Se temete la solitudine non sposatevi (Anton Cechov)