Persone con bisogni speciali

Il gabinetto compie 4000 anni. I primi servizi igienici sono stati ritrovati a Creta nella reggia di Cnosso. Oltre 2000 anni prima di Cristo già utilizzavano la tazza e soprattutto il sifone. Fondamentale il sifone: la sua magica esse tiene lontani i reflussi e soprattutto i cattivi odori.

Ma per una di quelle strane discontinuità della storia, questa eccezionale scoperta è caduta in disuso nelle epoche successive. Per secoli ci si è accontentati di un foro sul pavimento, nel cortile, in un balcone. Chi non ricorda la novella del Boccaccio in cui Andreuccio da Perugia cade appunto nella fogna di Napoli da una terrazza a sporgere? La reggia di Versailles ha migliaia di stanze ma non ha nemmeno un cesso! Si usavano pitali (altrimenti detti “vasi da notte”). Abbelliti da disegni, putti volanti e damine trasognanti, ma pur sempre pitali. Non devono essere stati secoli molto profumati, il Seicento e il Settecento, nemmeno nei palazzi reali, figuriamoci nella suburra!

Nella nostra cultura contadina il WC era tutt’altro che accessibile. Era solitamente posizionato a ridosso del vicino letamaio per rendere più agevoli le operazioni di “pulizia” solitamente affidate al più giovane della famiglia. Il WC non era altro che un buco per terra con quattro pareti intorno di cui una mobile: la porta.

Ma veniamo ai giorni nostri, più civili e così attenti e sensibili ai cattivi odori e all’igiene.

All’ultima edizione di Exposanità (Bologna, maggio 2004), ho incrociato dopo molto tempo Ruggero Vilnai, buon amico oltre che serio imprenditore nel campo degli ausili. Con la sua consueta immediatezza mi ha, senza preamboli, bonariamente aggredito: “ma volete parlare, una buona volta, nella vostra rivista, anche dei cessi per noi disabili?”

Facendogli presente che abbiamo più volte affrontato l’argomento degli ausili per i bagni, gli ho chiesto quale fosse il problema.

“Il problema è che siamo stufi di arrampicarci su tazze alte mezzo metro. Perché la tazza WC nei nostri bagni deve essere più alta del normale? Ne devi parlare nei tuoi articoli!”

Gli ho risposto in modo volutamente provocatorio: “è una disposizione che avete voluto voi paraplegici nel 1978!”. Sorvolo sulla sua giusta reazione, ma adesso approfondisco l’argomento.

Nell’oramai lontano 1978 fu approvato, dopo anni di attesa, un regolamento che fissava i criteri per l’accessibilità degli edifici pubblici e aperti al pubblico.

Fra le altre disposizioni venivano definiti anche gli standard per la realizzazione dei servizi igienici. In particolare veniva sancito che il livello superiore della tazza WC doveva essere di 50 centimetri.

Leggenda vuole che questa richiesta sia stata avanzata dai paraplegici presenti nella commissione investita dell’onere di stendere il nuovo regolamento. Equazione ovvia, quindi: l’altezza di 50 centimetri è ottimale per un paraplegico che riesce a trasferirsi dalla propria sedia a ruote fino alla tazza WC. Ma è appunto un’equazione basata su una leggenda e quindi non del tutto realistica.

Molti disabili (distrofici, spastici, ma anche paraplegici), raccontando le loro disavventure nelle ritirate, riportano aneddoti tragicomici. Quando riescono a salire sul trespolo travestito da tazza WC, si sentono quantomeno instabili. I piedi non toccano terra, le gambe a penzoloni, il tronco dondola pericolosamente … in avanti … a destra … a sinistra. O indietro dove la schiena non trova il muro perché, sempre per legge, la tazza deve esserne distanziata più del normale.

Le soluzioni tecniche poi sono improntate alla fantasia italica. Ci sono ditte che hanno fatto business con le tazze rialzate e un po’ bizzarre nella loro forma allungata come il collo dei ritratti di Modigliani. Ma c’è anche chi realizza un orribile rialzo di piastrelle alla base della tazza che ne rafforza l’idea di giustapposizione, di incrostazione, di soluzione di ripiego e dedicata in esclusiva ad anziani e disabili.

Eppure quegli orrori sono a norma! Sono in regola con quanto disposto dal Legislatore. Già, perché nel frattempo sono stati rivisti tutti gli standard dell’accessibilità, ma quei 50 centimetri sono rimasti lì, pur essendo noto nell’ambiente – nel nostro ristretto ambiente – che per assolvere ai loro bisogni fisiologici la maggioranza delle persone con disabilità si trova meglio seduta su una tazza normale anziché appollaiata 10 centimetri più in alto. Lascio a voi ogni considerazione in merito alla tranquillità e al relax che certi momenti impongono. Chi ha compreso tutto ciò ha trovato una magica soluzione di ripiego: il ciambellone!

Per rispettare la legge, e per mantenere al tempo stesso la normale tazza, si ricorre ad un magico rialzo: appunto una ciambella di plastica che, al bisogno, può essere usata da chi, con sommo senso civico, vuole rispettare la legge anche in quei momenti (oppure ha le gambe più lunghe e solide).

Ma anche in questo caso gli intralci non mancano. Accade che la ciambella sia fissata alla tazza. Se non la si vuole utilizzare bisogna ripiegarla indietro e quindi appoggiare i glutei direttamente sul (freddo e talvolta bagnato) WC. Il che non è molto igienico soprattutto quando vi sono evidenti arabeschi sulla cui origine è meglio non indagare.

Bruno Tescari, presenza storica e discussa del movimento dei disabili, ha di recente pubblicato in proprio un libricino dall’icastico titolo “Accesso al cesso” (sottotitolo “Appunti di viaggio da un cesso all’altro”). Con il corredo di foto piuttosto realistiche e non sempre gradevoli alla vista, narra alcune esperienze tragicomiche ma didascaliche di uno spaccato desolante. La pubblicazione, può essere richiesta direttamente all’autore (brunotescari@virgilio.it).

Insomma c’è qualcosa che non va nella qualità media dei servizi igienici, o meglio, nei servizi igienici di una società avanzata come la nostra. Per onestà intellettuale va detto che i veri problemi non risiedono solo sopra la tazza del WC, ma tutt’intorno oltre che in una comune educazione che manca.

Manca ad iniziare dalla stessa allocazione e disponibilità dei bagni per tutti: se si escludono i WC presenti nelle stazioni, negli aeroporti, nelle grandi strutture pubbliche, negli autogrill (troppo spesso osceno ricettacolo di schifezze fisiologiche e morali), sono davvero carenti i servizi igienici pubblici. Se una persona ha una necessità impellente deve entrare in un bar, locale pubblico che solo una volta su cinquanta dispone di un bagno accessibile, nonostante magari sia di recente costruzione o ristrutturazione.

Questo è un problema. Ed è un problema ancora maggiore per le migliaia di persone stomizzate, (enterostomizzate o urostomizzate) per le quali un bagno – e non è un capriccio che sia pulito – è l’unica garanzia per potersi spostare, muovere, vivere la propria città, o quella degli altri, senza ansia né panico. Sono situazioni personali molto più diffuse di quanto si creda che tuttavia, spesso, sono ignorate dalle stesse associazioni di persone con disabilità. Figuriamoci dagli altri.

Non sembra una pretesa irraggiungibile chiedere un bagno pulito, in cui entrare e muoversi, senza timore di cadere, dotato di qualche mensola su cui appoggiare il cellulare, il catetere o una borsa. Un luogo in cui fare le proprie cose con calma e in relax. Non importa se non c’è la musica soffusa e se la pavimentazione non è in ceramica.

Il cesso ha 4000 anni, ma, in quanto ad innovazione sociale, oltre il sifone, per ora, non andiamo. (Carlo Giacobini)