Ansia da privacy

Sarà capitato anche a voi di cercare un taxi in una grande città (italiana) durante una giornata di pioggia. Una dura prova per la vostra pazienza e la vostra caparbietà. Avrete allora certamente notato come, ultimamente, prima delle consuete moleste melodie, un messaggio preregistrato vi avverta che i vostri dati personali saranno utilizzati esclusivamente per lo svolgimento del servizio.

Ma quali dati? Il vostro numero di telefono? O l’equivoca destinazione a cui siete diretti? Avete la fastidiosa sensazione che la cooperativa dei tassinari vi bisbigli: “Tranquilli… non diciamo niente a nessuno di quello che state combinando”. Quando, dopo mezz’ora, inzuppati di pioggia acida e di rancore agro, salite a bordo, il tassinaro vi rassicura: “Dotto’… nella tasca del sedile ce stà er fojo de a praivasi”. Un’amena lettura che vi terrà compagnia mentre siete incolonnati nel Grande Raccordo Anulare.

Ma va bene… è giusto: la riservatezza dei dati personali innanzitutto!

È solo che questa preoccupazione si sta trasformando in fobia, sia per chi dovrebbe esserne garantito che per chi la deve assicurare. Stiamo davvero arrivando agli eccessi opposti.
Eppure continua ad accadere che all’ora di cena, nell’agognata quiete della propria casa, arrivino le più scoccianti telefonate che offrono importunamene viaggi, corsi di inglese e informatica, trattamenti di bellezza, proposte di abbonamenti a linee telefoniche superveloci a zero costi, a zero canone, a zero scatti alla risposta. E il paese dei balocchi entra felpato a casa vostra senza nemmeno bussare. Si chiama telemarketing.

Ma la privacy è garantita. Qualsiasi cosa firmiate reca in calce una garanzia, una richiesta di autorizzazione e la meravigliosa opportunità di essere informati su offerte commerciali che, senza meno, vi saranno gradite. Tradotto: “Firma qua e ti garantisco una farcitura giornaliera della tua cassetta delle lettere!”. Tanto poi butterete tutta quella cartaccia, compresa la bolletta dell’Enel, infidamente annidata fra due offerte pubblicitarie.

Ma la privacy è garantita. Anzi è prioritaria. È il primo documento che vi fanno firmare quando arrivate al pronto soccorso. State certi che, anche se siete in piena emorragia, troverete una solerte infermierina che vi insegue incalzante per farvi firmare la liberatoria sulla privacy. E se non firmo? Mi lasci morire dissanguato? Ve la faranno sottoscrivere nuovamente in reparto, anche se siete allettati in un frequentato corridoio anziché in una delle stanze stipate di malati.

Ma state tranquilli: da quel momento la vostra privacy sarà rigorosamente e religiosamente preservata. Auguratevi solo che i vostri parenti e i vostri amici sappiano esattamente in quale reparto vi trovate, perché nessuno glielo può dire. Dato personale! Dato sensibile!
Dati sensibili atti a rilevare lo stato di salute, le idee politiche e religiose, le tendenze sessuali o personali. Tutto deve essere oscurato. Finirà che qualche paranoico, ossessionato al contrario dalla privacy, salterà sopra un tavolo da McDonald’s strepitando con occhi fuori dalle orbite: “Sono comunista, ho votato per Bertinotti, sono quacchero e gay, sono Rossi Mario, codice fiscale RSS MRR 64H17… e ho un eczema cronico!”.

Finirà che prima o poi verranno oscurati anche i nomi sulle tombe (la morte è un dato sensibile) e verranno pure “pixelate” le foto negli ovali, soprattutto se si tratta di minori. Rimarranno solo lapidi molto anodine, tipo “Visse e morì” oppure “Giace qui”.

Ma va bene. È giusto così. Il diritto alla riservatezza dei dati personali va tutelato.
Andrebbe però rispettato anche per le persone con disabilità. Eppure, al momento della domanda di accertamento di invalidità o di handicap, non viene richiesta alcuna autorizzazione, nessuna liberatoria. Nessuno chiarisce formalmente su come verranno trattati i dati personali e sensibili. Sulla fine che faranno. Non si informa del fatto che i dati vengono trasferiti, per obbligo di legge, alle associazioni storiche (ANMIC, ENS e UIC). Nessuna critica all’attività dei loro patronati, ma almeno si informi il cittadino e gli si dia l’opportunità di negare o accordare quel consenso.

Ma questo è ancora marginale rispetto a quello che accade dopo. Salvo rarissime eccezioni, i verbali emessi dalle Commissioni di accertamento recano tutte le informazioni relative a diagnosi e anamnesi dell’interessato. Quello che ha, insomma. Dati sensibili!

Eppure non sarebbe così difficile applicare la soluzione. Basterebbe emettere due verbali: uno con quei dati evidenziati, uno con gli stessi dati oscurati. Lo si fa per i certificati di malattia, perché non lo si può prevedere per la disabilità? La privacy della persona disabile vale di meno?
Quel verbale finisce nelle mani più diverse: concessionari auto, commercianti che devono applicare agevolazioni, operatori pubblici e privati, patronati, scuole, datori di lavoro. Vuoi le agevolazioni? Rinuncia alla tua privacy!

Vuoi benefici, sconti, aiuti? Sei costretto a metterti a nudo di fronte a chiunque perché quel foglio non consente alcun pudore.

Forse c’è qualcosa che non va per il verso giusto. (Carlo Giacobini)