Decreto semplificazioni: disabili e lavoro fra mutismo e rassegnazione


Che il PNRR fosse un po’ deboluccio sul fronte dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità abbiamo già avuto modo di annotarlo non senza rammarico accompagnato da considerazioni non certo entusiastiche sulle più generali politiche attive, sull’inefficace intervento sui servizi, sulle lacune verso quelli che sono i maggiori esclusi dal mondo del lavoro (le persone con disabilità intellettiva o con problemi di salute mentale).
Una amarezza che è ora confermata, e farcita di molti interrogativi, dalla lettura del nuovo decreto semplificazioni. Nel decretone infatti il Governo si è, comprensibilmente, affrettato a blindare la cosiddetta governance che dovrebbe reggere la reale applicazione del PNNR. Tradotto: chi mantiene la regia e con quali linee di condotta. E visto che i quattrini saranno parecchi le regole, almeno negli intenti saranno stringenti con tanto di Cabina di regia, Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione, un Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale … insomma tutta una architettura con una sua razionalità.
Ma in questa architettura e per le diverse missioni ancora una volta sulla disabilità c’è ben poco come d’altra parte chiunque (o quasi) poteva intuire già nella lettura del PNRR.
E sul lavoro, il nulla. Anzi, vi sono dei tratti che lasciano più di qualche inquietudine.
Con i PNRR saranno disponibili un bel po’ di miliardi per interventi e opere in moltissimi settori. Vi sanno appalti, subappalti, stazioni appaltanti, regole da rispettare. Sono occasioni di rilancio anche per l’occupazione quindi.
È apprezzabile quindi che il decreto semplificazioni preveda uno specifico articolo che richiama le “Pari opportunità, generazionali e di genere, nei contratti pubblici”, contratti che deriveranno dal PNNR. La disposizione è fondata sul dato evidente delle sottooccupazione femminile e giovanile. Il Censis in questi giorni l’ha ben evidenziato: la pandemia e la crisi congiunturale hanno picchiato di più sulle fasce più deboli aumentando ancora i già gravi indicatori di inattività.
Il decreto semplificazione quindi pone come regola, per le aziende con più di 15 dipendenti che parteciperanno (in appalto o subappalto) a bandi, il rispetto del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 198/2006).
Le aziende avranno l’obbligo di presentare un rapporto sulla situazione del personale in riferimento all’inclusione delle donne nelle attività e nei processi aziendali. In caso di violazione di quella regola, è prevista l’applicazione di penali e l’impossibilità di partecipare per dodici mesi a ulteriori procedure di appalto o subappalto
Nei bandi di gara saranno riconosciuti punteggi aggiuntivi per le aziende che usino strumenti di conciliazione vita-lavoro, che si impegnino ad assumere donne e giovani sotto i 35 anni, che nell’ultimo triennio abbiano rispettato i principi di parità di genere e adottato misure per promuovere pari opportunità per i giovani e le donne nelle assunzioni, nei livelli retributivi e degli incarichi apicali.
Salve motivate ragioni, le stazioni appaltanti (chi scrive i bandi) dovranno includere nel bando l’obbligo del partecipante alla gara di riservare a giovani e donne una quota delle assunzioni necessarie per eseguire il contratto. Sarà richiesta inoltre l’assunzione dell’obbligo ad assicurare una quota pari almeno al 30 per cento, delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, all’occupazione giovanile e femminile.
Chiunque (o quasi) abbia a cuore il superamento delle disparità di genere e generazionali non può che apprezzare queste previsioni e i vincoli serrati previsti.
Però… un paio di flashback non guastano.
Il 2020 è stato un anno orribile per l’occupazione delle persone con disabilità (questo Censis non l’ha rilevato). Fra emergenza COVID, servizi per l’impiego fermi, cassa integrazione al massimo e quindi sospensione sia delle assunzioni che degli obblighi assunzionali della legge 68, concorsi pubblici ridotti al lumicino, hanno sostanzialmente azzerato i nuovi ingressi nel mondo del lavoro delle persone con disabilità. E sul punto non può che essere appuntata la scarsa consapevolezza del fenomeno che non può essere compensata certo dalla lettura, ritenuta da alcuni confortante, della XI relazione sullo stato di attuazione della legge 68 sul diritto al lavoro dei disabili presentata a inizio 2021 ma che si riferisce a dati 2016/2018 (sic). Una scarsa consapevolezza che, accompagnata da ancillari silenzi, appare evidente nel PNRR e, ora, nel decreto semplificazioni. Che vogliamo fare?
Secondo flashback. L’articolo 17 vigente della legge 68 sancisce che “Le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, pena l’esclusione.” Non era il caso di ribadirlo politicamente nel decreto semplificazioni in particolare nelle parti che riguardano gli appalti?
E un’ultimissima domanda che già parte in automatico ogni volta che si ipotizzano nuove aliquote di riserva, vieppiù ora che le potenzialità occupazionali sono palpabili. Come funzionerà la nuova aliquota? Riduce o integra quella già prevista per i lavoratori con disabilità? Già, perché se la riduce si innesca una umiliante gara fra persone già ai margini del mercato del lavoro.
Il che davvero non ha nulla a che spartire con una ripartenza solidale, ma contribuisce solo ad una annichilente rassegnazione.