La corda e l’impiccato

Era vero, dunque! Il 22 ottobre Salvatore Cuffaro, Governatore della Sicilia, in compagnia di Grazia Sestini, il sottosegretario del ministero del Welfare, hanno effettivamente consegnato 20 carrozzine alle associazioni dei disabili. Sono le prime di 280 sedie a ruote che verranno regalate ai disabili siciliani. Da dove arrivano? Per scoprirlo bisogna tornare indietro di un anno e spostarsi oltreoceano, al Palazzo di Vetro di New York.

Il 17 novembre 2003, presso la sede dell’ONU, l’Italia è stata insignita del prestigioso premio internazionale “Franklin Delano Roosevelt Disability Award”. A ritirarlo, di fronte a Kofi Annan, il nostro Ministro del Welfare, un insolito Roberto Maroni che, per una volta, non ha delegato altri a partecipare a eventi che riguardino la disabilità.

Roosevelt per gli americani è una sorta di padre nobile anche se, checché se ne dica, è divenuto solo negli ultimi anni un emblema per il mondo della disabilità. Presso il Franklin Delano Roosevelt National Memorial a Washington vi è una statua, posta negli anni ’90, che lo ritrae in sedia a rotelle. La “propaganda” sottolinea con soddisfazione che si tratta dell’unico monumento al mondo di un capo di stato con disabilità. È sì vero che nei dodici anni della sua presidenza Roosevelt ha utilizzato con sempre maggiore frequenza la carrozzina, ma è anche vero che evitava accuratamente di farsi ritrarre mentre la usava. Ma torniamo al premio.

Il premio, oltre che un’attestazione morale, consiste in 50 mila dollari e in 1000 sedie a ruote.

Il riconoscimento viene attribuito dall’Istituto “Franklin & Eleanor Roosevelt” ad un Paese che abbia compiuto significativi progressi normativi nell’integrazione dei cittadini con disabilità e che si sia dotato di provvedimenti particolarmente avanzati. O almeno così dovrebbe essere!

Nelle motivazioni ufficiali del premio leggiamo che “all’Italia è stato riconosciuto l’impegno, perseguito da oltre trent’anni, per la difesa dei diritti delle persone con disabilità e per il miglioramento delle loro condizioni di vita. Negli anni ’50 e ’60 le leggi base italiane hanno garantito l’assistenza pubblica alle persone con disabilità. Dalla fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70, la legislazione nazionale ha promosso l’integrazione delle persone con disabilità all’interno del sistema scolastico e, successivamente, nel mondo del lavoro. Negli anni ’80 si è affrontato il problema della rimozione delle barriere architettoniche. La legge del ’92 ha favorito le opportunità di formazione ed impiego per le persone con disabilità e ha dato importanza al volontariato”.

Di fronte a questa enfatica motivazione, che ci lascia almeno perplessi, sono possibili due ipotesi. La prima: noi, ingrati, non ci rendiamo conto di quanto stiano bene le persone con disabilità nel Bel Paese. La seconda: dall’alto della sua autorevolezza anche l’Istituto Roosevelt può prendere un granchio. Scelga il Lettore, in base anche alle sue quotidiane esperienze, quale sia l’ipotesi più plausibile.

Palermo, ottobre 2004: “Le mille carrozzine ricevute dal Ministero”, dichiara Grazia Sestini, “sono il frutto di un premio dato all’Italia dalle Nazioni Unite, attraverso la Fondazione Roosevelt, in virtù della ricchezza della sua legislazione sui disabili e del partecipato coinvolgimento delle regioni”.

Ricchezza … coinvolgimento … regioni! Solo qualche giorno prima la Sestini aveva dovuto contenere e replicare alle preoccupazioni espresse proprio dalle regioni rispetto alla ventilata riduzione del Fondo per le politiche sociali, iattura tutt’altro che scongiurata.

Gli fa eco, nel corso della pomposa cerimonia di consegna delle 20 carrozzine, Salvatore Balistreri, consulente per la disabilità della regione Sicilia: “Per la prima volta non sono stati erogati soldi, di cui certamente le associazioni continuano ad avere bisogno, ma è stato riconosciuto e realizzato un servizio”.

Consegnare 20 carrozzine sarebbe realizzare un servizio? Questo, piuttosto, è parlare di corda in casa dell’impiccato.

Quel servizio, cioè quello di garantire gli ausili indispensabili all’autonomia, alla riabilitazione, all’assistenza delle persone con disabilità, è già previsto da una di quelle norme che l’Istituto Roosevelt ha tanto incensato. Previsto, ma attuato a singhiozzo. E abbiamo motivo di non credere che la Sicilia sia un’isola felice anche nell’erogazione di ausili, uno degli ambiti più disastrati nel panorama dei servizi sociosanitari.

A sentire i nostri lettori, e raccogliendone le testimonianze, sembra che sia davvero un terno al lotto poter ottenere, in tempi dignitosi, una carrozzina, un materasso antidecubito, una scarpa ortopedica. Per non parlare poi di prodotti a più alto contenuto tecnologico.

Ci sono lunghissime, inaccettabili, ingiustificabili attese: accade troppo spesso, solo per riportare esempi neanche fra i più gravi, che persone anziane vengano dimesse dall’ospedale e, nonostante siano permanentemente allettate, debbano attendere per mesi e mesi la fornitura di un materasso antidecubito (spesso di seconda mano). Ma le piaghe da decubito non aspettano la burocrazia e quando arriva il materasso è troppo tardi: è già necessario un intervento medico e infermieristico. E quello che ha risparmiato il “servizio ausili e protesi” lo spende allora con gli interessi il distretto o chi deve gestire l’assistenza sanitaria a domicilio (sempre che questa sia garantita).

Eppure la norma di riferimento precisa in modo chiaro che l’autorizzazione alla fornitura dell’ausilio deve essere rilasciata dalla Asl tempestivamente e comunque, in caso di prima fornitura, entro venti giorni dalla richiesta. Ma la maggioranza degli “uffici prestazioni e protesi” se ne frega di ciò che il legislatore ha disposto e ne boicotta anche l’altra indicazione: in caso di silenzio della Asl, trascorso il termine dei venti giorni, l’autorizzazione alla prima fornitura si intende concessa.

Questa è l’Italia vera: un Paese con buone norme non applicate, con disposizioni a favore del cittadino ignorate dalla burocrazia, con standard, regole, misure e vincoli il cui rispetto è troppo “imbarazzante” controllare, con tante rassicurazioni normative non finanziate.

Questa è l’Italia che organizza, con decreto del Presidente del Consiglio, grottesche “Giornate nazionali per l’abbattimento delle barriere architettoniche” durante le quali le pubbliche amministrazioni promuovono “iniziative volte a informare e sensibilizzare i cittadini sui temi legati all’esistenza delle barriere architettoniche” con a margine una pelosa, quanto non ben motivata, questua ad opera di un’oscura associazione privata.

Ritenendola una encomiabile iniziativa, abboccano giornali, TV, compagnie telefoniche, senza lasciare spazio a chi critichi questa mistificazione.

Poiché di questo si tratta: non sono i cittadini che devono venire sensibilizzati! Sono le stesse amministrazioni ad essere vergognosamente latitanti. Le norme sull’eliminazione delle barriere architettoniche esistono da trent’anni. Controllino prima di approvare progetti. E reprimano se c’è da reprimere: è una loro facoltà! Tutto questo è accaduto sotto i nostri sguardi, ma evidentemente non sotto l’occhio di osservatori internazionali. Forse la prossima volta ci regaleranno, oltre che 50 mila bei dollaroni, qualche pedana elevatrice.

Questa è l’Italia. Ma i panni sporchi, si sa, vanno lavati in famiglia. All’estero dobbiamo fare bella figura: l’importante è vincere… magari imbrogliando!