La riformona e l’applausometro

“A furia di leccare,
qualcosa sulla lingua rimane sempre.”
(Ennio Flaiano)

In questi giorni è approdato all’esame delle Camere lo schema del decreto legislativo che ridisegna le modalità di valutazione della disabilità e formalizza altri intenti quali quelli sul progetto di vita e sull’accomodamento ragionevole. Avremo modo di tornare puntualmente su vari aspetti a dir poco critici, ma per ora non si può che essere – ancora una volta – colpiti dalla entusiastica narrativa che ne pervade la comunicazione e dai consueti e anche novelli corifei plaudenti alla riformona epocale nel red carpet delle audizioni parlamentari.
Una comunicazione – va sconsolatamente ammesso – che risulta efficace anche perché ben pochi analisti seri quel testo lo hanno consultato e smontato. L’effetto sedativo sulle future vittime è dunque assicurato almeno in via transitoria. Le aspettative indotte – ahinoi! – sono destinate a sgretolarsi alla prova dei fatti.

Che gli attuali percorsi di accertamento dell’invalidità e dell’handicap (per ora si chiama ancora così) siano cosparsi di difficoltà, conflitti, complicazioni è un dato di fatto e noto. Che sia spesso un’odissea ottenere un beneficio o un’agevolazione lo sanno meglio i diretti interessati che i molti soloni che popolano i palcoscenici. Che le situazioni che hanno necessità di maggiori sostegni non trovino risposte sufficienti nelle politiche e nei servizi sociali è drammaticamente sotto gli occhi di tutti, in primis delle persone e delle famiglie.
Ma, se questa è la stringata diagnosi, quello che propone il decreto, talora semplicisticamente, talvolta molto confusamente, spesso irrealisticamente e ideologicamente, non è certo la cura, se non nelle menti più fragili.
Fermiamoci per ora su quelle che appaiono le mistificazioni più evidenti e che riescono a combinare sloganistiche asserzioni con scombiccherate ipotesi organizzative, fra l’altro in gran parte delegate alla potestà regolamentare di INPS (nei cui panni non vorremmo comunque essere). Davvero sembra che nessuno si sia preoccupato di disegnare un diagramma di flusso, né un quadro delle risorse per dare forma ai sogni.

La prima mistificazione è quella della presunta semplificazione del sistema: un onirico percorso lineare dove tutto diventa più semplice e trasparente per la persona. Il decreto distingue fra valutazione di base e valutazione multidimensionale. Con la prima si dovrebbero ottenere i benefici basilari, quelli già previsti oggi, e cioè pensioni, indennità, assegni, permessi, agevolazioni fiscali. La seconda servirebbe (forse) ad ottenere qualche sostegno in più, definito da un progetto personale pomposamente ribattezzato “di vita”. La valutazione multidimensionale non è – come berciato da taluno – una novità. Lo sa bene chi è passato in questi anni all’esame delle UVM (unità valutativa multisciplinare).
Cosa vi sia di più semplice rispetto alla situazione odierna non è dato sapere. Di certo il tutto non abbrevia i tempi di riconoscimento e dei conseguenti benefici.

Nella valutazione di base confluiscono tutte le valutazioni: handicap (che si chiamerà disabilità), invalidità, cecità, sordità, disabilità ai fini lavorativi (legge 68/1999), condizione di disabilità ai fini scolastici, protesi, agevolazioni fiscali… Si fa tutto in una sola valutazione. Spariscono anche le commissioni per la valutazione ai fini lavorativi… Tutto assieme. Sicuri? Così scrivono il decreto e la relazione tecnica.
Tutto ciò lo fa una commissione composta da due medici e un assistente sociale o uno psicologo. Li affianca un medico di categoria (non scelto dal disabile, ma nominato dalle associazioni). Scompare il medico specialista nella patologia da valutare. Soppresse le commissioni per i ciechi e quelle per i sordi. La responsabilità esclusiva passa ad INPS che si ritrova con una mole (qualitativa) di lavoro non indifferente.
Tant’è che il decreto autorizza INPS ad assumere 1069 nuovi medici (dove li troveranno Dio solo lo sa!), 142 funzionari amministrativi, 920 funzionari in ambito sanitario. A regime è un costo di 215 milioni, a cui si aggiungono poco meno di 33 milioni l’anno per i medici delle associazioni. 248 milioni è il totale a regime: una spesa che si drena il 67% del Fondo per la disabilità (sempre a regime). Per restituire un’idea delle proporzioni, sul Fondo per l’implementazione dei progetti di vita ci sono 25 milioni.
Sintesi: il Fondo per la disabilità serve in larga misura per le spese di sistema, non certo per i bisogni dei singoli. È utile a creare un nuovo sistema di controllo della spesa.

Sparisce l’invalidità civile con le sue percentuali? Scompare il sistema delle tabelle e i vetusti concetti di inabilità generica al lavoro? Certo che no! Le tabelle rimangono in vigore finché non saranno riviste per decreto (il testo del decreto legislativo trabocca di atti regolamentari successivi) che rivisiterà le tabelle con le codificazioni ICD e ICF. Ma, siccome né l’uno né l’altro strumento produce una percentuale, ci si dovrà inventare qualcosa, operazione che avverrà nelle segrete stanze ministeriali senza che vi sia possibilità di sindacare.

Come funzioneranno i diversi passaggi amministrativi, quali saranno le regole, i tempi di attesa lo stabilirà INPS. E sempre l’Istituto fisserà anche le modalità per gli eventuali ricorsi contro le decisioni delle sue stesse commissioni.

Un’altra mistificazione, forse quella più subdola, riguarda il progetto di vita: grazie al ricorso a nuovi – si fa per dire – strumenti scientifici e di rilevazione (ICD, ICF, WHODAS…), le commissioni multidisciplinari diventeranno bravissime a delineare il profilo delle persone e quindi a redigere anche un progetto di vita, con l’indicazione di tutti i sostegni di cui la persona può avere necessità. Questa la narrazione che include la dichiarata partecipazione alla scrittura del progetto da parte degli interessati. Poi però vediamo le risorse. Le risorse sono indicate nel budget di progetto che dovrebbe sostenerlo. Che cosa si conta nel budget? Si conta tutto: “risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali.” Anche il volontariato insomma…
Precisazione importante: “Resta ferma la disciplina della compartecipazione al costo per le prestazioni che la prevedono.”

E per realizzare i progetti di vita si prevede di attingere dal Fondo non autosufficienza e da un vecchio Fondo per il diritto allo studio universitario. Il decreto ricorre anche al Fondo per i caregiver, dimenticando che è stato soppresso dall’ultima legge di bilancio. Nella sostanza sarà forse un diritto vedersi redigere un progetto di vita e partecipare alla sua stesura, ma per ottenere le necessarie risorse resterà da vedere…
Nessun dubbio poi sui risvolti esistenziali che vi possono essere dietro una programmazione forzosa e “a vita”. Nessun interrogativo etico rispetto all’obbligo di dover dimostrare e codificare entro schemi preordinati, mettendosi a nudo, le proprie traiettorie di vita, che magari nemmeno si immaginano nell’immediato, pena l’esclusione dai sostegni, dai supporti, dai diritti.

A chi applaude oggi, in specie da certe posizioni, andrebbe fatto notare che le persone e le famiglie forse sono distratte al momento, forse sono abbacinate dagli slogan, ma di fronte agli evidenti fallimenti futuri chiederanno inesorabilmente conto delle aspettative tradite.
Per ora continuate pure con gli applausi.

P.s.: per chi volesse leggere il testo dello schema del decreto e la documentazione di supporto, vada alla pagina specifica della Camera dei deputati.