Elettroshock

Se improvvisamente la luce si spegne a casa vostra, solo a casa vostra, ve la potete prendere con i nuovi contatori elettronici che fanno “saltare i tappi” non appena superate, anche per pochi secondi, i 3 kwh. Potete imprecare contro l’elettricista di fiducia. Oppure potete finalmente convincervi dell’inderogabile urgenza di rinnovare l’impianto elettrico risalente agli Anni ’50, quando tutti i vostri elettrodomestici erano un macinino elettrico (regalo di nozze) e un rasoio da barba (vinto con i punti dell’Amaro Cora).

Se invece la luce si spegne in tutto il quartiere, in tutta la città, in tutta Italia, la reazione non può che esondare in un terreno molto più molle e trascinarvi in tetre riflessioni esistenziali. A meno che non siate un vecchio compagno con sedimenti veterocomunisti e possiate sperare, solo per un attimo, che siano finalmente arrivati i russi, la prima reazione è di preoccupazione, se non di panico. Poi, quando i timori passano e la paura viene metabolizzata, nonostante le rituali rassicurazioni istituzionali ed ufficiali, rimane una latente sensazione di insicurezza.

Il nostro saggio Presidente (Ciampi, non Berlusconi) tuona: “Basta: centrali subito!”. Scopriamo così che una parte significativa dell’energia elettrica che usiamo, e che spesso sprechiamo, viene importata dall’estero in particolare dalla Francia. Ciò, a detta dei più, non è più accettabile: dobbiamo raggiungere l’autonomia energetica. È una singolare pulsione autarchica. L’energia elettrica prodotta in Francia, per ammissione dello stesso gestore nazionale, costa la metà di quella generata in Italia. Perché mai dovremmo produrcela in casa spendendo il doppio? A chi conviene realizzare nuove centrali elettriche? E perché la stessa improvvisa e diffusa smania autarchica non interessa anche altre risorse che pesantemente importiamo? Non è una riflessione ambientalista la nostra, ma solo un brutale interrogativo sull’effettiva convenienza economica.

Scopriamo anche che, con buona pace dell’euro, non siamo affatto in Europa visto che non appena si parla di blackout e di energia elettrica si rialzano baldanzosi i cavalli di Frisia lungo i vecchi confini nazionali che ci avevano fatto credere oramai spianati.

E le sorprese non sono finite. Scopriamo che molti ospedali dispongono di impianti autogeni drammaticamente insufficienti ed inadeguati a fronteggiare le emergenze. Ma l’Italia scopre anche l’esistenza di persone che, private dell’energia elettrica, sono a rischio di vita. Sono le persone che debbono utilizzare respiratori, i dializzati e tutti coloro la cui sopravvivenza è legata ad una macchina. Commuovono le cronache, spesso un po’ strappalacrime, di eroici interventi di vigili del fuoco, di folli corse all’ospedale, di volontari che salvano vite. Ma passata la bufera ed asciugata la lacrimuccia, queste storie si dimenticano come si è fatto con le balene morenti sulla spiaggia di Rio, o con la cagnetta che si è lasciata morire vicino al corpo inerte del padrone, o con il triste finale di un filmetto sentimentale trasmesso in seconda serata. Non è solo di eroi che abbiamo bisogno, né di balzare all’onore delle cronache per qualche ora.

Qualche analista ha acutamente osservato che, come i decenni precedenti sono stati caratterizzati dalla fame di cibo, il prossimo decennio sarà oscurato dalla fame di risorse, dalla lotta per accaparrarsi un’energia necessaria in quantità sempre superiore. Se questo accadrà l’eterno “sud del mondo” sarà ancora una volta marcato da una nuova povertà.

Vogliamo aggiungere un corollario a questa tesi. Il “sud” non è più solo un affare geografico. È trasversale e alligna anche nelle società a capitalismo avanzato quale la nostra si vanta di essere. Ci sono, vogliamo dire, persone che dell’energia elettrica hanno più necessità di altri. Sono appunto le persone anziane e disabili. Queste si trovano già a sud, a sud di nessun nord.

Se l’illuminazione manca ad un gruppo di giovani, l’emergenza diviene addirittura occasione di socializzazione, se non di festa. Un momento che si supera arrangiandosi alla bell’e meglio.

Ma se l’energia viene sospesa in casa di un dializzato, o di uno che utilizza un ventilatore polmonare la reazione è ben diversa. Avrete un bel dirgli, per tranquillizzarlo, che la batteria tampone permette alla macchina di funzionare per altre 4 ore. Per lui e per la sua famiglia sarà il panico, che aumenterà ancora di più quando scopriranno che l’autonomia è ben inferiore a quella dichiarata dal costruttore.

Respiratori, macchine per l’alimentazione enterale, strumenti per la dialisi domiciliare, broncoaspiratori: è vero, sono concessi in uso dalle ASL. Ma quante di queste ultime si sono poste il problema di un eventuale blackout? Quante sono davvero in grado di fronteggiare un’emergenza?

Già alcuni anni or sono chi scrive – voce non isolata – ha sollevato il problema, ha paventato il pericolo. Si era suggerito che, almeno nei casi a rischio di vita, venissero forniti degli impianti autogeni o, laddove ciò non fosse possibile, almeno dei gruppi di continuità. L’obiezione, come sempre, nei costi. Nessun commento; solo due cifre: un respiratore costa alle ASL mediamente 6, 7 mila euro. Un generatore a benzina, sufficiente ad illuminare le lampadine di una normale abitazione e a garantire il funzionamento di quei macchinari salvavita costa meno di 500 euro.

L’ENEL, da parte sua, un segnale l’ha dato: su segnalazione degli interessati si impegna a limitare “le sospensioni tecniche dell’energia” e ad intervenire con priorità nelle aree in cui abiti una persona che utilizza il respiratore. Forse l’ENEL, oltre ad investire tanti quattrini in sponsorizzazioni o illuminazioni artistiche (Colosseo, Fori imperiali ecc.), potrebbe fare qualcosina in più per questi suoi clienti (anche per non perderli).

Siamo quindi a chiedere qualcosa di diverso, di più importante, di più vitale che una agevolazione tariffaria, anche se quest’ultima avrebbe buoni motivi per essere applicata.

È vero che le tariffe elettriche sono mediamente le più basse in Europa, ma ciò è reale solo per chi ha contratti fino a 3 kwh. A chi quella erogazione non è sufficiente vengono applicate condizioni spropositatamente più esose. E, manco a dirlo, ad avere necessità di più kilowatt è anche chi, spesso con sacrifici notevoli, ha istallato in casa un ascensore. Che l’ascensore sia una necessità e non un capriccio non interessa, per ora, a nessuno. Tant’è che, come uniforme indicazione, si consiglia, nei giorni dei possibili blackout, di evitare l’ascensore. Il che significa per molti anziani e disabili: “resta in casa per oggi”

Anni fa Madre Teresa di Calcutta ebbe a rifiutare l’offerta avanzata dall’amministrazione di New York di istallare un ascensore in una delle sue comunità nel Bronx. La santa donna sentenziò: “A sollevare i disabili ci penserà il cielo”. Il motto ha un senso (forse) se pronunciato da una suora in odore di santità. Ha un senso (forse) se rimane nell’alveo di una incrollabile fede nella divina provvidenza e di una altrettanto decisa sfiducia nella volontà degli uomini.

Ma il fatalismo e la rassegnazione sono imperdonabili quando si debbono programmare ed assicurare servizi che la vita umana possono salvare. E quindi un merito quel blackout ce l’ha. Nessuno potrà più sospirare: “una tragica fatalità che non potevamo prevedere”. (Carlo Giacobini)