Flashback. fra il 2008 e la fine del 2015 il Parlamento ha approvato l’esecuzione di 1.250.000 controlli alla ricerca dei falsi invalidi. Un delirio collettivo che ha prodotto macerie, diffuso luoghi comuni, rafforzato lo stigma nei confronti delle persone con disabilità, generato spese gigantesche sulla base di arroganti illazioni spacciate per verità intangibili. Una caccia inconsistente quanto a bottino nel carniere dello Stato, gravosa e umiliante invece per milioni di cittadini. Si vagheggiava a gran voce di un ricavi miliardari, se n’è tratto un pugnetto di milioni.
Era il tempo in cui il Ministro dell’economia Giulio Tremonti piangucolava chiedendosi come un Paese con l’Italia potesse accrescere il proprio PIL dovendo sopportare il peso di così tanti invalidi.
Erano gli anni in cui Mastrapasqua, all’epoca mammasantissima dell’INPS, affermava che che almeno il 23% degli invalidi era falso, lestamente ripreso dalla quasi totalità di giornaletti e giornaloni con il titolo ricorrente: “Falso un invalido su quattro”. Paginate sui possibili risparmi e su fatti di cronaca che mostravano protagonisti laidi individui che fingevano cecità, zoppie e svariate sventure. Alla fine gran parte dell’opinione pubblica se la beve, incluse spesso le persone con vera disabilità.
E niente… alla narrazione del falso invalido, indubitabile piaga italica, hanno aderito un po’ tutti, anche accademici e studiosi (ad esempio Luca Ricolfi) per tacere dei parlamentari che per tre o quattro anni nelle legge di bilancio hanno accolto volentieri l’adozione di piani straordinari di “contrasto alle frodi in materia di invalidità”.
Un posizionamento bipartisan; chi con meno verve, chi con più verve come il leghista Reguzzoni che nel 2011 alla Camera sentenziava entusiasta “questo Governo con 200mila controlli ha revocato 30mila pensioni recuperando recuperando un miliardo di euro.” Dato falso e destituito da ogni fondamento, ma tant’è: silenzio a dritta e a manca. D’altra parte le prime cacce ai falsi invalidi sono targate De Mita, Amato e Prodi, poi ben incistate da Lega e co. nel proprio patrimonio genetico.
Dopo anni di maccartismo abbiamo la conferma incontrovertibile che si è trattato di una grottesca bufala, ma ne paghiamo ancora gli effetti. Forse, anzi, quel retropensiero che dietro l’invalido (ah no, gli abbiamo cambiato denominazione!) ci sia un furbetto rimane nel DNA collettivo e dei nostri decisori politici.
Secondo flashback. È quasi estate nel 2024 quando viene annunciata la svolta epocale. Niente sarà più come prima per le persone con disabilità. Si cambia passo. È l’era della riforma sulla disabilità. Il ministro per le disabilità – giustamente – celebra assai il risultato raggiunto e ci aggiunge, com’è ovvio che sia, un bel po’ di marketing politico. Ma quando si fa marketing talvolta si esagera un pochetto, in ispecie se si vuole vellicare corde sensibili e nervi scoperti.
E fra le innovazioni di cui la nostra mena vanto ce n’è una che sicuramente raccoglie il populistico favore di milioni di persone con disabilità, magari proprio vittime di quella vecchia campagna contro i falsi invalidi.
Cito testualmente un meme della Locatelli ampiamente disseminato sui social dal suo ufficio comunicazione: “Eliminazione visite di rivedibilità per l’accertamento dell’invalidità civile”. Asserzione poi ampiamente ripetuta in vari contesti anche pubblici con applausi da spellarsi le mani. Bingo!
Ampio risalto in moltissime testate pur senza un minimo di verifica. Sì, perché la riforma non abroga affatto le potenziali visite di rivedibilità nel tempo ma stabilisce di definire meglio (con calma e con decreto) le regole che già ci sarebbero a ben vedere.
Fine dei ricordi, si passa all’onirico: nel felice mondo futuro non ci saranno più verifiche e controlli inutili e superflui. La persona con disabilità, una volta accertata la sua compromissione, non verrà più disturbata dall’occhiuta vigilanza di questo o quell’altro. E che diamine!
Ma quello che esce dalla porta può sempre rientrare dalla finestra.
In questi giorni è stata diffusa la bozza della prossima legge di bilancio e nelle sue pieghe riemerge l’antica, forse atavica, malsopita voglia di caccia.
La scusa è quella consueta: la razionalizzazione della spesa che alligna nella convinzione che ci siano sprechi (può essere) e significativi abusi da mondare quanto prima con il bisturi e la mannaia.
In questo caso è evidente la convinzione che l’ingente costo dei permessi concessi ai lavoratori con disabilità o ai dipendenti che assistono un familiare (i celebrati a parole caregiver) con una grave compromissione, vi siano si tanti furbetti da giustificare un’azione massiccia di controllo.
Qual è il piano? Il datore di lavoro può chiedere a INPS di verificare i requisiti sanitari che hanno dato origine a quell’agevolazione (in gergo: la 104). Ordunque: i permessi sono concessi solo in presenza di un verbale che sancisce la grave condizione di disabilità. Il verbale è verificato e convalidato dall’INPS. Spesso, viste le situazioni, è definitivo e non prevede controlli successivi, sovente nemmeno a campione.
Eppure al datore di lavoro può venire il sospetto, o anche solo l’uzzolo, di voler verificare ancora una volta che non vi siano finzioni.
Per ora la disposizione varrebbe – se approvata – “solo” per i dipendenti pubblici. Per ora.
Un non tanto ipotetico dirigente scolastico, solo per fare un esempio, che sia animato da sentimenti negativi verso un proprio docente, può togliersi la soddisfazione di creargli un problema, di avviare un controllo sanitario sul suo congiunto anche se è già in possesso di un verbale definitivo. Le situazioni che si possono verificare sono le più grottesche. Lascio alla fantasia del lettore elucubrarne altre.
Tocca ad INPS anche questa “patata”, oltre alle tante altre mansioni che gli sono state attribuite negli ultimi due o tre anni. INPS non ce la può fare. Questo è noto anche al legislatore, tant’è che nello schema di legge prevede che l’Istituto possa avvalersi di personale della sanità pubblica e anche dei medici militari. Il tutto a valle di specifiche convenzioni con le pubbliche amministrazioni. Non è gratis il controllo: le amministrazioni (noi) pagano [Nota per il dirigenti: il controllo improprio innescato da un dirigente fazioso si può configurare come danno erariale].
Quella dei medici militari non è una novità: era una trovata di Giuliano Amato, l’incensantissimo Giuliano Amato, che nel 1989 li aveva usati per la primissima partita di caccia di falsi invalidi.
Trovo, al netto dell’incomprimibile voglia di caccia, che tutto ciò mal si sposi con la prosopopea inclusivista degli ultimi due anni, con le svolte epocali, con le presunte abrogazioni della rivedibilità. Mal si abbina con la proclamata attenzione – “questa è la volta buona!” – al ruolo e alle condizioni dei caregiver familiari. E mal si accoppia anche con certe incensate innovazioni antidiscriminatorie. Merita per l’appunto di essere rammentato che nella buona vecchia legge 104/1992 meno di tre anni fa è stato inserito un nuovo articolo (2 bis) che sancisce che è vietato discriminare o riservare un trattamento meno favorevole ai lavoratori che chiedono o usufruiscono dei permessi o dei congedi lavorativi per sé o per assistere un congiunto. E dunque?
Pensateci quando vi narrano di svolte epocali.