Quando Amato ci mandò i militari

Il 13 aprile del 1988 si insedia il Governo De Mita. Sostenuto dal solito Pentapartito ma con un notevole peso dei Socialisti che piazzano alla vicepresidenza Gianni De Michelis e al Tesoro un rampante fedelissimo craxiano: Giuliano Amato. Gava va agli Interni, Andreotti agli esteri e la Iervolino agli Affari sociali.

Amato non è nuovo alle esperienze di Governo: è già stato solidale al fianco di Bettino Craxi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio fra il 1983 e il 1987, prima che la Democrazia Cristiana, infastidita dall’eccesso di craxismo, pretendesse la restituzione del premierato.

La situazione dell’economia italiana nel 1988 non è delle più floride,anche se non una delle più drammatiche, ma è l’equilibrio della finanza pubblica ad inquietare, l’aumento della spesa pubblica, la gestione della spesa previdenziale e sanitaria e così via. Sono gli anni in cui Rino Formica (PSI) e Beniamino Andreatta (DC) si insultano quotidianamente sulle soluzioni migliori per il Paese, soluzioni che rimangono oggetto di polemiche senza trasformarsi in radicali interventi.

Questo accadeva 25 anni fa.

Fra i mali della Nazione viene – guarda un po’! – indicata la piaga dei “falsi invalidi”. Pur essendo residuale e minima la spesa assistenziale e il numero di provvidenze erogate, quell’uscita viene considerata strumentalmente come un costo su cui intervenire celermente, perché “insostenibile”, immorale, non proficua.

Nell’88 la pensione è di circa 250.000 lire (129.11 euro) e l’indennità di 500.000 lire (258.23 euro).

È proprio Amato il più deciso ad intervenire su questo aspetto, tanto da farne – 22 anni prima di Tremonti – uno dei suoi argomenti forti.

Ma Amato, non a caso soprannominato da Eugenio Scalfari “Dottor Sottile”, ha ben chiaro che pensioni e indennità di accompagnamento sono spesso state usate, dallo stesso ramificato sistema clientelare dei partiti a cui fa riferimento, come “ammortizzatore sociale”, largheggiando nella concessione inispecie in prossimità di consultazioni elettorali nazionali e comunali.

E quindi … e quindi non si può correre il rischio di “pestare piedi”, ma ci si deve accontentare di frenare il perverso trend. E aggiustare i conti.

È in questi frangenti che si apprezza l’acume del politico della prima (e seconda e forse terza) Repubblica in grado di trovare una via di uscita che salvi capra (istanze “giustizialiste”) e cavoli (imbellettare il bilancio dello Stato facendolo apparire sano). È l’abilità del gioco delle tre carte.

Significativamente uno dei primi atti del Governo De Mita è l’approvazione del decreto-legge 30 maggio 1988 n. 173 (poi convertito nella legge 291/1988) che ha per oggetto “Delega al Governo per la revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti e dei relativi benefici”.

Nel testo Amato pretende l’inserimento di una specifica disposizione che, ancora a distanza di 25 anni, lascia basiti per la sua iniquità, irragionevolezza e doppiezza.

Nel 1988 l’accertamento degli stati invalidanti è attribuita alle ASL. La concessione è affidata al Ministero dell’interno con il coinvolgimento delle Prefetture. Nell’attività di accertamento delle condizioni sanitarie sono coinvolti circa 10.000 medici.

Con la novità introdotta da Amato, la verifica degli stati invalidanti viene tolta alle ASL e affidata ai medici militari.

Viene rivisto anche l’iter rendendolo molto più farraginoso e complicato: le domande di accertamento vanno presentate a Roma presso il Ministero del tesoro. Qui vengono smistate alle commissioni territoriali.

Le commissioni militari, una volta completato l’accertamento, devono poi inviare a Roma gli esiti per le successive definizioni amministrative, previo accertamento dei redditi dell’interessato. Infine la Corte dei conti deve pronunciarsi su ciascuna pratica.

Nel 1988 non esistono ancora le trasmissioni telematiche… Inoltre i medici delle Commissioni militari sono poco più di 200.

È facile comprendere quale sia il trucco delle tre carte ideato da Amato: non cambiare certo le regole, non intaccare gli equilibri, ma semplicemente ritardare i pagamenti, ritardare l’accesso ai diritti: una procedura del genere può durare anche tre anni.

Ma apparentemente il rigore è salvo grazie alla militarizzazione dell’accertamento: Amato diviene il “moralizzatore” della spesa pubblica, quello che risolve i problemi (immagine che confermerà nel luglio del 1992 con il noto prelievo forzoso retroattivo del 6 per mille sui conti correnti bancari, manovrina approvata di notte e pubblicata il giorno dopo).

L’iniquo e assurdo provvedimento del 1988, come era facile prevedere, non regge alla prova dei fatti, portando rapidamente al collasso del sistema e provocando enormi disagi a centinaia di migliaia di persone con disabilità che rimangono impantanati nella burocrazia e privi di sostegno economico per anni.

Dopo due anni viene ripristinato il sistema precedente, ma per riassorbire i ritardi pregressi ci vorranno anni. Un costo sociale di cui mai è stato presentato il conto all’Onorevole Amato. (Carlo Giacobini)